Papa Francesco ha detto che “Non si uccide in nome di Dio, ma non si può deridere la fede altrui”.
A una settimana dall’attentato a Parigi, a mente più fredda, forse giunto il momento di cercare di sviluppare un dibattito – avviato peraltro dalle parole del Papa – sulle tante incomprensioni di un dialogo tra religioni e civiltà che fatica a svilupparsi e che finiscono per diventare benzina sul fuoco della violenza. Che la violenza sia da condannare, senza se e senza ma, non è in discussione, ma proviamo ad andare oltre, alla ricerca di quelle ragioni, che continuano ad essere messe in secondo piano per semplificazioni. La complessità di questa guerra trasversale non permette sottovalutazioni, se cerchiamo realmente di fermarla.
Partiamo dai fatti. I tre attentatori di Parigi, nel giustificare la loro strage hanno dato due motivazioni. Primo: i fratelli Kouachi hanno detto di aver vendicato il Profeta Muhammad. Secondo: Coulibaly ha parlato di invasione nelle terre dell’Islam da respingere. Iniziamo da quest’ultimo. Nella sua follia, Coulibaly rivendicava territori e il riferimento è evidentemente alle guerre che nei decenni si sono fatte nel mondo musulmano, alla luce del sole o per procura.
Quello che pensa Coulibaly, pur se lui si è votato all’estremismo e si è messo in mano a un carnefice delle terre dell’islam, è in parte condiviso da molti arabi anche se ovviamente, questi non si sono messi in mano al barbaro Stato islamico di Al Baghdadi. Voci che non sono mancate anche sui quotidiani arabi. Dunque già il fatto che c’è una parte della popolazione musulmana nel mondo che trova senso, non nella violenza in sé, ma nelle ragioni, pone un quesito. Un problema sulle nostre responsabilità come Occidente. Il problema di non riuscire ad avere la coscienza a posto per condannare in tutto il Coulibaly di turno e di avere al nostro fianco lo sdegno di tutta la comunità musulmana. Che ci sia una piccola parte di quel terrorista condivisibile da milioni di persone è un problema serio, e non facilita la già complicata strada per poter vincere il terrore.
L’interventismo occidentale, che per la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica musulmana è stato spesso avviato più per gli interessi di quello stesso Occidente, diventa lo strumento ideale per giustificare una guerra feroce. La storia contemporanea della sponda sud e nord del Mediterraneo è la prova scritta di come si è covato l’odio. E sarebbe opportuno aprire un dibattito sul tema.
Ora passiamo ai due fratelli che hanno fatto strage a Charlie Hebdo, per – hanno sostenuto – vendicare il profeta, dove come ha ben scritto, Tahar Ben Jelloun, nè il profeta e nemmeno il suo spirito, li ha ingaggiati.
All’indomani dello shock e delle condanne all’attentato, sono iniziate ad arrivare nuovamente le condanne a quelle insultanti vignette. Per voce di Al Azhar che ha condannato la loro nuova pubblicazione ma ha invitato a ignorarle, ma anche di intellettuali, scrittori, giornalisti arabi, e soprattutto comuni musulmani nel mondo. Insomma, per la stragrande maggioranza islamica, che ci piaccia o no, quelle vignette sono insultanti, feriscono nel profondo i sentimenti di credenti o meno. Perché la figura del profeta è sacra. Sempre che ci piaccia o no. Che la condividiamo o meno.
Sono infatti molti ad essere scandalizzati per la reazione di quei musulmani che in Francia non hanno seguito il minuto di silenzio, affermando che “se la siano cercata insultando il profeta”. Anche a casa nostra, guai a giustificare anche minimamente quell’atto barbaro, tuttavia è necessario domandarsi e riflettere su come siamo riusciti a passare dalla libertà di stampa alla libertà di insulto. Come siamo riusciti a passare dalla ragione al torto? Com’è possibile oggi non avere a nostra disposizione nitidamente il nero e il bianco per poter analizzare questioni come il Terrorismo islamico, ma scoprire che c’è sempre una parte della storia che trova ragioni.
Quello che è fondamentale discutere qui, è riuscire a tornare indietro, a quando per la prima volta si sono disegnate le vignette sul profeta, volgari e insultanti, giustificando questa iniziativa come libertà di stampa e di critica. Siamo davvero sicuri che si tratti di questo? Come possiamo parlare di libertà, quando iniziamo a invadere le libertà altrui? La libertà di avere un simbolo, di venerarlo, rispettarlo, e portarlo come esempio a tutta la comunità. Un simbolo educativo, culturale e identitario. Perché il profeta Muhammad è questo, per la comunità musulmana nel mondo se non di più. Non è un uomo qualunque, ma l’uomo che si è distinto dagli altri. É possibile avere ancora il diritto di avere dei simboli a cui credere, senza che in nome della libertà di stampa, questi simboli vengano desacralizzati insultati volgarmente e disumanizzati?
Un’altra sconfitta, è stata proprio non avere capito questo. Quei ragazzi francesi che non hanno osservato il minuto di silenzio hanno dalla loro parte, questa fotografia che noi non abbiamo voluto vedere e che ci rende più deboli nel difenderci dai fratelli Kouachi, anche questa volta, come per Coulibaly. Aver scambiato la democrazia di tutti per la democrazia del pensiero unico.
Sergio Romano sulle pagine del Corriere rispondeva a una signora che esprimeva qualche perplessità sulla libertà di espressione con queste parole: “la libertà di espressione è totale per quelle idee e opinioni che riflettono il pensiero dominante di una società nazionale in un determinato momento storico, più limitata quando offende lo stesso pensiero
dominante. Se le vignette di Charlie Hebdo avessero preso di mira gli ebrei, le reazioni sarebbero state alquanto diverse. È comprensibile. Noi non possiamo dimenticare quali orribili conseguenze l’antisemitismo abbia avuto per la sorte di 6 milioni di persone. Ma non dovremmo dimenticare che anche le società musulmane hanno le loro memorie”. Eppure Sergio Romano non è Papa Francesco, per aver deciso di titolare questo intervento: libertà di espressione si, ma con giudizio.
Per concludere, e’ notizia di pochi giorni fa che un nuovo marchio di birra americana, abbia raffigurato nelle lattine, la figura del Mahatma Ghandi. L’India s’infuria con tanto di petizione in tribunale. E’ offensivo hanno detto gli indiani, e il pronipote di Ghandi ha aggiunto che Ghandi, aborriva la birra. Ecco, Ghandi uomo della nostra storia, ha trovato il pronipote a difenderlo in un tribunale. Muhammad, del settimo secolo, non ha pronipoti per difenderlo in tribunale, ma non lasciamo proprio noi, questa scusa a dei fanatici terroristi, macchiare il suo nome e quello di un miliardo di persone, portando il terrore a casa nostra. Non lasciamo ai terroristi, ai fanatici e agli psicopatici alibi per non chiarire quel che è giusto o sbagliato.