A Lampedusa sono oltre 94 le vittime. Si tratta di un numero che, visti gli oltre 250 dispersi, è destinato a salire. Per ora quel che è certo è che in un' imbarcazione (se così si può chiamare) di 500 profughi, i superstiti sono 151.
Ennesima tragedia. Ennesimo dramma umanitario che attende risposte, mentre è evidente che la questione immigrazione e il dramma dei profughi nell'area sud del Mediterraneo, è vittima dell'inerzia politica nazionale e internazionale.
Una situazione che, stando ai dati di Fortress Europe, ha fatto registrare, negli ultimi 10 anni e nel solo canale di Sicilia, più di 6.200 vittime, più della metà delle quali disperse.
Persone di cui raramente vediamo i volti o conosciamo la storia. La velocità della cronaca impone di non approfondire, creando una assuefazione collettiva che si trasforma gradualmente in indifferenza verso chi arriva nel nostro paese per costruire un futuro e, invece, trova la morte. E’ accaduto di nuovo, oggi a Lampedusa e, solo due giorni fa, a Scicli.
Chi deve emigrare spesso non ha scelta: deve scappare per salvarsi, viaggiando in condizioni disumane. Le vittime di oggi e quelle di ieri lo hanno fatto e non si può non immaginare quanto forte fosse la loro convinzione di essere scampati alla guerra civile, ai soprusi, alla fame e alla miseria. Ma morire diventa più facile proprio a un passo dalla meta, per molti di loro. Proprio li, all'arrivo.
Non dobbiamo dimenticare che non hanno avuto scelta, perché non abbiamo lasciato loro altra scelta. Il flusso di questi sbarchi, è sottolineato nell’ultimo rapporto della commissione migrazioni dell'assemblea parlamentare del Consiglio europeo presentato ieri a Strasburgo, è e resterà continuo.
Surreali e raccapriccianti le parole della Lega, secondo cui :
“La responsabilità morale della strage che sta avvenendo nelle acque di Lampedusa è tutta della coppia Boldrini-Kyenge. La loro scuola di pensiero ipocrita, che preferisce politiche buoniste ad azioni di supporto nei paesi del terzo mondo, ha portato a risultati drammatici come questi. Continuando a diffondere senza filtri messaggi di accoglienza si otterrà la sola conseguenza di mietere più vittime di una guerra. Tanto la Boldrini quanto la Kyenge hanno sulla coscienza tutti i clandestini morti in questi ultimi mesi".
Chi crede di avere ricette semplici come quella dell’alzare ulteriormente le frontiere e bloccare i migranti nei loro paesi, infatti, oltre a far precipitare l’emergenza, dimostra anche di non conoscere la situazione attuale sulla sponda sud del Mediterraneo. Il profugo che arriva sulle nostre coste rischiando la vita, infatti, molto probabilmente non sa chi siano la Presidente Boldrini o il Ministro Kyenge, né conosce il contenuto delle loro proposte, perché , semplicemente, è un disperato che scappa dalla guerra e dai soprusi e pensa solo a come sopravvivere. La maggior parte di queste persone disperate, a causa del vuoto umanitario e politico in cui la comunità internazionale ha abbandonato l’intero bacino meridionale del Mediterraneo, finisce in mano a organizzazioni criminali che organizzano questi veri e propri viaggi della morte. Lo spiega molto bene Gabriele Del Grande in un’ intervista a Linkiesta, in cui il nucleo del problema è individuato solo in un punto: la mobilità. Secondo Del Grande, “queste persone devono poter andare nelle nostre ambasciate e chiedere un visto con la facilità con cui facciamo noi per viaggiare, seguendo quindi i canali legali. Bisogna abbassare la soglia delle barriere per ottenere un visto, rendere le procedure più semplici. Molti di quelli che si mettono sulle barche prima erano andati a chiedere un visto senza però ottenerlo, così sono stati costretti a pagare fior di migliaia di euro agli scafisti criminali. Andando quindi a ingrassare le casse della criminalità organizzata.”
Pertanto, mentre noi possiamo viaggiare liberamente in questi paesi a forte emigrazione, per gli abitanti degli stessi fare altrettanto da noi è quasi impossibile, a causa della chiusura dei nostri confini. Persino chi è in gravi difficoltà e si vede riconosciuto lo status di rifugiato politico, non viene concretamente tutelato e protetto perchè non abbiamo nulla di seriamente efficace per farlo arrivare e salvarsi. E’ un cane che si morde la coda.
Ma il problema non è solo una questione di confini. E' evidente che la guerra civile in Siria e gli altri focolai ancora accesi in Africa (l'Eritrea o la Somalia solo per fare qualche esempio), dove non siamo riusciti e non riusciamo ad intervenire in maniera efficace, aggravanol’emergenza. Tuttavia, questo non può essere un fallimento che si trascina dietro altri fallimenti, come già avevo scritto rispetto alle
politiche di Cooperazione internazionale con quei paesi del Nord Africa che di fatto, essendo più stabili, fanno da cuscinetto. Queste realtà devono essere messe in condizione di assumere un ruolo di precise responsabilità in quello che sta succedendo. Devono essere coinvolti come attori principali per consolidare una rete di solidarietà e mobilità, finalizzata a percorrere un processodi legalità e difesa dei diritti umani. Non si può passare dalla Libia di Gheddafi, vera e propria prigione di immigrati – profumatamente finanziata per tenere i guai lontani – alla Libia anarchica attuale, dove la criminalità organizzata della tratta dei migranti ha mano libera, sotto i nostri occhi.
Bisogna iniziare a dare delle risposte ad un problema che è ormai globale e che non ha una alcuna prospettiva di soluzione.
Per questo, il lavoro da fare è soprattutto nei paesi di transito, dal Marocco alla Turchia, attraverso programmi europei che offrano non solo aiuto umanitario, ma anche e soprattutto emancipazione e reinsediamento dei rifugiati che arrivano in Europa, spesso per ricongiungersi alle proprie famiglie. Ma non solo Europa: dobbiamo prendere coraggio partendo da noi e mettere mano alla Bossi-Fini, che ha prodotto più danni che altro. Più clandestini che regolari.
Serve, inoltre, un più efficace monitoraggio delle presenze delle imbarcazioni di migranti nel Mediterraneo e nel canale di Sicilia, in particolare al fine di realizzare misure di soccorso funzionali e coordinate. Bisogna passare dalla condizione di emergenza a quella di problema costante da affrontare a lungo termine, coinvolgendo le forze migliori della sponda sud e nord del Mediterraneo.
La responsabilità è di tutti noi.