Ritorna il dibattito sulla questione cittadinanza. Pare sia più facile legiferare per far tornare i soldi di evasori poco raccomandabili che per riconoscere il diritto civile di chi nasce e cresce in Italia ad essere riconosciuto come cittadino italiano. Dunque torna il tormentone: è giusto dare la cittadinanza ai nati in Italia superando lo ius sanguinis su cui si regge l'attuale legge sulla cittadinanza? Si, no, ni, e intanto passano gli anni e continuiamo a investire con la nostra incoscienza in una generazione di frustrati e dis-integrati. Giovani sfiduciati proprio perché nonostante gridano a voce alta di sentirsi e voler essere riconosciuti italiani, noi gli diciamo no. Se questa non è dis-integrazione! Se questo non è investire in una bomba sociale che cosa è allora?
C'è chi si spinge in argomentazioni populiste, dichiarando che la questione cittadinanza non sia prioritaria nell'agenda italiana e confermando così una miopia politica che non ha una reale visione sul futuro dell'Italia. Quando poi il futuro dell'Italia lo si vede semplicemente girando nelle nostre città e vedendo i volti che incontriamo al supermercato, nelle scuole, nei ristoranti e nelle università. Volti di un’Italia multietnica. Non più di migranti che arrancano nel parlare italiano, ma dei loro figli che parlano addirittura il dialetto siciliano o toscano. Giovani che se non fossero traditi dai loro lineamenti, non li distingueresti dai figli degli italiani. Non è giunto forse il momento di prendere coraggio e voltare pagina? Di prendere coscienza e riconoscere con realismo questa Italia che cresce senza padri? Non è solo un segnale di civiltà, ma è un investimento sulla qualità della nostra società italiana del futuro. Meglio più coesa che frammentata.