Non passa ora, dalla strage di Oslo e Utoya, che ha scosso il mondo in quest’estate insolitamente più fredda, che la Norvegia non ci dimostri come nonostante la grande sofferenza, non bisogna piegarsi alla malvagità, continuare a difendere se stessa e la sua identità di Paese tollerante, interreligioso e avanzato. Dando una lezione di grande coraggio e responsabilità per quegli ideali che sono alla base e il fiore all'occhiello della sua società: avanguardia nei diritti umani.
Ideali che lo stesso Anders Behring Breivik, il mostro dagli occhi di ghiaccio, voleva distruggere e ne aveva studiato i dettagli per anni, al fine di condurre la sua guerra contro quell'Occidente che ai suoi occhi non era più il suo Occidente.
Troppo multiculturale e globalizzata: la Norvegia, l'Occidente, aveva perso la sua identità, le sue origini e rischiava di perderla ancora di più con l'aumento dell'immigrazione, soprattutto musulmana, il suo vero nemico. Che avrebbe trasformato la sua Europa in Eurabia. Meglio tornare alle origini, alle crociate, al patriarcato.
Fa impressione come possano covarsi stesse paure stessi deliri, da una sponda all'altra, senza distinzione sociale o religiosa, ma solo un comune denominatore: la paura di incontrarsi, mescolarsi, scambiarsi e condividersi umanamente.
Ma pensare che nel suo European Declaration of Independence, manuale di 1.518 pagine, ci siano solo le sue paranoie, la sua frustrazione e paura, è un errore da non commettere. Perché il suo manuale non è altro che un "quadro ideologico" in continua costruzione, da cui sono in molti ad attingere (la dichiarazione dell'europarlamentare leghista Mario Borghezio, pur corretta, ne è solo un esempio) e in tempo reale. Dietro Brievik c'è una rete, nel vero e proprio senso della parola, attiva, per quanto demenziale. Siti internet, forum e bloggers: un mondo dove avanza l'estremismo, dove commenti raccapriccianti trasudano di odio verso il diverso. Una xenofobia che rischia di passare per normalità, se non la si denuncia e combatte con fermezza.
Un'attività di rete che non può essere sottovalutata se si pensa che proprio la primavera araba è arrivata grazie a quella rete.
Brievik è un campanello d'allarme che ci fa scoprire una realtà, fatta di un fondamentalismo ideologico nazionalista che investe un'estrema destra molto pericolosa che in Europa e in Occidente sta avanzando in modalità fin d'ora troppo sottovalutate. Un'estrema destra di "strada", che sta crescendo nell'odio, nella paura, nell'insofferenza di passare in minoranza per la globalizzazione e l'immigrazione. Con sullo sfondo, ma non troppo, una crisi economica e sociale che non aiuta la convivenza ma crea conflitti.
È evidente che siamo in una società multiculturale con i suoi successi ma anche i suoi fallimenti. Non è possibile fare passi indietro, occorre trovare politiche adeguate di reciprocità e sana convivenza su una base solida di diritti e doveri uguali per tutti. Senza eccezioni. E senza sottovalutare i rischi, da qualunque parte provengano: fondamentalismo a sfondo islamico, ma anche estremismo xenofobo.