“Non riesco ancora a credere a quello che ho sentito sulla storia di queste due donne. Che ci siano ancora oggi genitori che vogliono imporre ai lori figli, al costo di perderli per sempre, un futuro impregnato di tradizioni e culture che hanno deciso per loro, e che non hanno niente a che vedere con quello che sono loro”. Sonia è una ragazza di 20 anni, nata in Italia, madre indiana e padre dello Sri Lanka. Con “ quello che sono loro” si riferisce chiaramente alle nuove generazioni, i figli degli immigrati che si sfidano con nuove identità, molte volte in contraddizione e lontane dai loro genitori.
Lei ha un ragazzo italiano, vive serenamente la sua identità senza grandi conflitti, se non quelli che vivono tutti gli adolescenti. Lei è una ragazza libera come tante altre della sua età, ma la sua storia e testimonianza non è la notizia, e non vale ancora per tutte.
Non vale per Hina, per Sanaa. Per la prima mamma martire Shanhaz Begum e la figlia Nosheen. Donne che vivono in gabbie invisibili perché in paesi liberi.
Il matrimonio combinato è solo una delle regole della gabbia invisibile, c’è tanto altro, ci sono usi e costumi, che segnano la subordinazione ad un patriarca che sia il padre il fratello o il marito. È lui che decide. Su tutto.
Khadija ne sa qualcosa, e lei non arriva dal Pakistan o dall’Afghanistan.
Khadija è originaria di uno dei paesi, il Marocco, con il codice di famiglia più all’avanguardia dei paesi islamici. Dove sono ben codificate le condizioni per il contratto di matrimonio: come la maggior età di tutte e due i futuri sposi, e il consenso obbligatorio per entrambi, senza intermediazione alcuna che permetta ad un tutore, in questo caso il padre, di decidere al posto della figlia; oppure la possibilità di ricorrere al divorzio.
Ma non basta ancora. Anche se le leggi avanzano le società prettamente patriarcali e tradizionaliste, fanno fatica a tenere il ritmo. Non basta quindi il paese di origine che prova a cambiare e non basta il paese di adozione, l’Italia, che è già molto oltre.
Il padre – padrone ha le sue regole che cerca di portarle e farle valere ovunque sia.
“Quando iniziò a vedermi cambiare e uscire con un ragazzo italiano- racconta khadija- ci mise un attimo a trasformarsi nel peggior uomo che io abbia mai conosciuto, non aveva più nessuna pietà né affetto per me. Diventò feroce e, appena arrivarono le vacanze estive, finita la scuola, mi trovai a soli 18 anni in Marocco senza documenti, per paura che scappassi in Italia, in sposa a un mio cugino di 36 anni. Mai avrei pensato che mio padre potesse diventare il mio aguzzino e mia madre la complice”.
Ma cosa c’è di religioso in questi casi dove ad essere coinvolte sono soprattutto le donne che sono originarie di paesi musulmani?
“Bisogna distinguere . Nel Corano non si parla di matrimonio combinato, né di lapidazione- spiega Paolo Branca islamologo all’Università Cattolica di Milano-. Ma è importante anche il modo con cui la religione viene percepita e interpretata, la religione non è una cosa statica, può evolversi, c’è un fenomeno antropologico dietro. In talune aree islamiche c’è una percezione totalizzante di valori e precetti che si trasmettono da padre a figlio, gerarchie implicite, dove è la tradizione a giocare un ruolo importante sino a confondersi con la religione.
Tutte le religioni monoteiste precisa ancora Branca,” sono patriarcali, con una determinata scala valoriale tra uomo e donna, tra vecchio e giovane, tra uomo e gruppo. Solo la modernità, l’individualismo è riuscito a ribaltare tutto, fino anche all’eccesso in Occidente. Mentre invece in alcuni paesi musulmani ancora vi è un legame forte con queste impostazioni tradizionali”.
Tradizioni, culture o religione che siano, la particolarità di questo nuovo delitto
è comunque da individuare in una nuova storia. Una storia fatta di una madre che non vuole più essere complice, che si allontana dalla madre di Hina, e si allontana da quella se non complice ma selenziosa della madre di Sanaa, che impressionò gli italiani per aver pronunciato a pochi giorni dall’omicidio della figlia il perdono per il marito.
La madre martire per la figlia è il segnale che una piccola rivoluzione si sta facendo largo, anche con il sangue versato.
E’ la solidarietà e la compilicità tra madri e figlie che può farci sperare in un cambiamento, a un‘unione che farà la forza per aiutare queste donne a liberarsi dai padri- padroni. E vivere da donne.